I ragazzi iraniani che combattono l’isolamento con una rete di ostelli

Il turismo come “strumento per dare impulso a un cambiamento nella società e per impedire l’isolamento totale” dell’Iran, in quello che è avvertito come il “momento “più duro” della sua recente storia. È l’ambizioso obiettivo che nel 2015 ha mosso Navid Yousefian, 32enne di Teheran a fondare il progetto See You in Iran (Syi). 

Nato come una comunità Facebook dove i turisti condividono le loro impressioni sul Paese, abbattendo stereotipi e pregiudizi, in cinque anni è diventato una sorta di Air B&B fatto però di ostelli, e non case private, accuratamente selezionati su criteri ecosolidali ed estetici e di centri culturali dove si discute, tra le altre cose, di immigrazione e diritti delle donne in Medio Oriente, non propriamente tematiche mainstream in un Paese come la Repubblica islamica.

Oggi Syi è presente in altre cinque città oltre Teheran. Tra queste vi è da pochi mesi Mariwan, nella provincia del Kurdistan una delle più povere dell’Iran e scelta appositamente per proporre il turismo come mezzo di sviluppo sia sociale che economico e per “mostrare che esiste un altro Iran fuori dai circuiti classici di Isfahan o Shiraz“.

La sopravvivenza del progetto, però, è ora sotto duplice minaccia: delle autorità, che hanno già dato segno di volerlo controllare più da vicino, e dei problemi finanziari legati in parte alle sanzioni (c’è il serio problema dei prepagamenti dall’estero laddove il sistema bancario iraniano è isolato da quello mondiale) ma soprattutto al forte calo del turismo dovuto alle tensioni nella regione venutesi a creare dopo l’uccisione del generale Qassam Soleimani e l’abbattimento, seppur erroneo, da parte di Teheran del volo di linea ucraino.

“Abbiamo dato il via al progetto poco prima della firma dell’accordo sul nucleare iraniano, quando sicuramente il clima era diverso e di maggiore speranza”, racconta Navid all’AGI, “volevo ci fosse un’altra narrativa sull’Iran, più positiva, e volevo che la scrivessero gli stranieri”.

Dal gruppo Facebook – il social di Mark Zuckerberg non è accessibile qui ma tutti aggirano facilmente il blocco usando le Vpn – “abbiamo materializzato quanto fatto virtualmente sulla rete con l’ostello a Teheran e poi col centro culturale, dove almeno una volta mese organizziamo un incontro su diversi temi: immigrazione, Afghanistan, la solidarietà tra donne in Medio Oriente o il debunk sulle presunte riforme portate avanti dall’Arabia Saudita”.

“I temi suscitano grande interesse”, raccontano due delle socie di Navid – Nazanin, 25 anni di Ramsar, nel Nord, e Soodabeh, 28 anni di Teheran, “e sono sempre pieni ma hanno iniziato ad attirare l’attenzione anche delle autorità. Per ora nessuna minaccia di chiusura, ma è successo che dopo un incontro siano venute persone a fare una sorta di interrogatorio.

“Cerchiamo di stare attenti a come presentiamo i nostri incontri sui social, crescere in Iran ti insegna come vivere sempre tra linee rosse da non oltrepassare”, fa notare Navid con un sorriso sarcastico. I ragazzi di Syi – una quindicina in tutto – hanno ricevuto già diverse offerte da sponsor come banche e organizzazioni turistiche statali, ma non hanno accettato per non perdere la loro indipendenza.

“Non penso che con le elezioni abbiamo grande potere di cambiare la politica ai piani alti”, spiega con aria rassegnata Navid, che ha sempre votato per i riformisti ma che ora, deluso, alle parlamentari di venerdì ha deciso di non partecipare.

“Ma a maggior ragione”, continua a spiegare il giovane, “in quella che per me è la peggiore delle situazioni in cui ci siamo mai trovati, con la crisi economica e con i giovani che hanno paura a scendere in piazza perché vengono uccisi, dobbiamo continuare a fare questo lavoro finché ce lo permettono. Per impedire l’isolamento totale dell’Iran, per impedire che un giorno non ci sia più nessuna voce che possa uscire fuori da questo Paese. Continueremo a impegnarci per mantenere sempre un canale aperto col mondo, per migliorare attraverso lo scambio la nostra società e per continuare a far sapere fuori cosa accade qui dentro”.